Settembre 28, 2021

Berrier

Le nuove vie d’arrampicata sulla parete Berrier a Crête Sèche nel comune di Bionaz, Valpelline, Valle d’Aosta

Gaston Rebuffat scriveva: “L’alpinista è un uomo che conduce il proprio corpo là dove un giorno i suoi occhi hanno posato lo sguardo. E che ritorna.”

Nei miei occhi vi erano depositate immagini di questi luoghi da lungo tempo, da quando nel lontano 1980 salii per la prima volta al rifugio di Crête Sèche per salire lo spigolo Bozzetti e il giorno successivo il Mont Gelé. Fu la lettura, casuale (?) del testo di Michel Vaucher “Le Alpi Pennine. Le cento più belle scalate” (ed. Zanichelli) che insieme a quello del Buscaini (1971) “Guida dei Monti D’Italia” Alpi Pennine (C.A.I e T.C.I.), che mi spinsero in questo luogo appartato e, direi, dal sapore ottocentesco.

Da allora, nel mondo dell’editoria di montagna italiana, nulla fu più proposto, fatta eccezione per un breve e succinto opuscolo dato alle stampe che raccoglieva i nuovi itinerari aperti con l’utilizzo degli spit, ma di uso quasi esclusivamente locale, da parte di Daniele Pieiller gestore del rifugio fino al 2019. Stiamo parlando dell’anno 2000!

Allora (1980) il rifugio Crête Sèche era gestito da Ettore Bionaz, guida alpina e membro del gruppo Guide Alpine della Valpelline, grande conoscitore della valle e purtroppo deceduto nel 1985 sotto una scarica di sassi durante la discesa dal Monte Cervo.

La frequentazione era alquanto scarsa e “regnava” la solitudine sia in parete che lungo quei sentieri inizialmente sempre ripidi e che mano mano che salivi di quota si addolcivano. Quel 15 agosto del 1980 in quel rifugio sobrio eravamo in tre: io, il mio compagno di cordata ed Ettore Bionaz. Nessun altro fece capolino in quel luogo in cui, spesso, il vento diventa l’elemento dominante a farti compagnia.

Fui colpito dalla crudezza di quei luoghi, ma soprattutto dalla solitudine che trasmettevano. E questo mi entrò nel profondo senza colpo ferire. Già… la solitudine. Impiegai anni per capire che la solitudine può essere vissuta come un “pieno” e non esclusivamente come un “vuoto”.

Solitudine che rimase come elemento distintivo di questa “pietra” arida e poco accattivante. “Pietra” che richiedeva e richiede un corteggiamento paziente per essere “letta”. Non vi sono linee di salita nette e appariscenti come in altri luoghi più conosciuti. Non basta guardare, bisogna che i propri occhi vedano.

La vita mi portò a girare per tutto l’arco alpino, ma il profumo di quella pietra rimase impresso nei miei abiti, e la stessa vita nel 2012 mi riportò in modo più assiduo e definitivo ancora in Valpelline e in quel di Crête Sèche.

Vagai ancora per quei monti e i “miei occhi” scoprirono strutture che probabilmente erano sotto gli occhi di tutti, ma passavano inosservate forse perché da sempre lì, così che richiedevano occhi “stranieri” per essere viste.

Iniziò una lenta e faticosa ricognizione. Lenta perché non era e non fu facile trovare compagni di viaggio che avessero gli stessi occhi… perché fu difficile sfatare un concetto radicato da tempo che la “pietra” in Valpelline è pessima… perché è più semplice e facile ripercorrere un itinerario già “confezionato”… perché fu difficile convivere con lotte intestine tra “Guelfi e Ghibellini”, e poter riaffermare un dato importante: le Montagne e le Pareti non hanno proprietari.

In questo viaggio che richiedeva e richiede a volte lunghi dislivelli, la discriminante nella ricerca non era né la quota della cima né le difficoltà; era necessario rivivere quel senso di solitudine e impregnare i propri abiti col profumo di quella pietra.

I progetti in cantiere sono ancora molti; oggi qui troverete la parete del “Berrier”. Tale struttura rocciosa (Berrier) fa parte dei contrafforti (Sud/Est) del Mont di Crête Sèche che sovrastano buona parte del tratto terminale del sentiero che conduce al rifugio omonimo. Questa struttura non era denominata dai locali, ho pensato di chiamarla in questo modo semplicemente perché sovrasta l’alpeggio sottostante che ha lo stesso nome.

Alla parete del Berrier, all’insaputa uno dell’altro, io ed Ezio Marlier avevamo iniziato lo stesso percorso di chiodatura, ovviamente su itinerari diversi. Ci parlammo, come si fa tra persone civili, e spesso siamo riusciti ad unire le forze e gli intenti: guardavamo con gli stessi occhi senza pregiudizi di sorta.

Spero che in queste brevi e succinte note troverete un “biglietto di viaggio” per Crête Sèche. Certo molte cose sono cambiate dal 1980, ma la “Pietra” è sempre quella.

ACCESSO

Dal rifugio prendere il sentiero alle spalle dello stesso che porta nella Comba di Vertzan (tratti gialli e ometti). Inizialmente passa alla base del Pilier Petey e successivamente porta alla vecchia palestra di arrampicata. Il sentiero taglia orizzontalmente la base dei contrafforti del Mont di Crête Sèche e superato il canale con i paravalanghe si giunge alla “Falesia del Berrier” (30’ dal rifugio).

LEGENDA

La roccia su tutti gli itinerari è ottima. Essendo itinerari molto recenti e che hanno pochissime ripetizioni per alcune vie e per altre nessuna ripetizione le valutazioni delle difficoltà sono indicative, e come sempre (almeno io credo) i numeri che indicano le difficoltà sono semplicemente un codice di comunicazione tra arrampicatori.

LE VIE DI ARRAMPICATA

1_Via Mom Supestar (Ezio Marlier e Mattia Faggionato ) 6a+. 5L. Una 10 di rinvii. Corda da 60 m. Chiodatura più distanziata delle vie precedenti.

2_Via Baroni Volanti (Angelo Baroni e Ezio Marlier) 6b/+. 4L (si congiunge con la via Estelle.) 10 rinvii. Partenza “laboriosa”; lo è stata per me. Nel secondo tiro, traverso (6a) delicato per raggiungere la sequenza di placche. Poi più facile. Il quarto tiro (6a+) su placca rossa verticale è splendido.

3_Via Estelle (Ezio Marlier e Luigi Santini) 6b. 4L . Sempre 10 rinvii. E corda da 60 m.

4_Psicoterapy (Ezio Marlier/Sergio Fiorenzano) 6b via sprotetta e pericolosa qualche spit lungo la via

Share this content: